Emme Rossa

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REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA IN PROVINCIA DI MODENA

Sommario

-    L’adesione alla RSI  -   La storia della resistenza
-   Le forze armate della RSI nel modenese -   RSI e classe operaia
-   Le forze armate della RSI riferite al territorio nazionale -   I 18 Punti di Verona

L’adesione alla RSI

    Il primo periodo dei seicento giorni della Repubblica Sociale Italiana, si presenta, per Modena e la sua Provincia, abbastanza tranquillo; moltissimi giovani, volontari e di leva si schierano con la nuova formula del fascismo Repubblicano, sia nel modenese sia in tutto il resto del territorio italiano non occupato dagli angloamericani e contrariamente a quanto, sino ad oggi, ha fatto credere la pubblicistica antifascista.

  Moltissimi nomi diventati noti nel dopoguerra, quali l'ex Sindaco di Modena poi deputato comunista, Rubens Triva,(1) l'ex Sindaco di Bologna ed ex Presidente della Regione Emilia Romagna, Guido Fanti,(2) oltre a uomini divenuti famosi nel mondo dello spettacolo quali, Dario Fò,(3) Ugo Tognazzi,(4) Raimondo Vianello(5), Giorgio Albertazzi,(6) Enrico Maria Salerno,(7) e tantissimi altri, entrano nelle file dell'esercito repubblicano.

  Altri personaggi famosi del mondo dello spettacolo, quali gli attori cinematografici, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida faranno parte della RSI, sino alla tragica conclusione della loro vita; nonostante la loro comprovata innocenza saranno barbaramente trucidati a Milano nei giorni della "liberazione"(10).

  Nelle file partigiane, al contrario, rilevando i dati ufficiali del CLN. saranno ben pochi i giovani che, sino all’avanzata primavera del 1944, entreranno a far parte di quello schieramento.(11)

  A Roma, agli inizi di Ottobre del 1943, il Maresciallo Rodolfo Graziani, tenne un memorabile discorso, ad un grande raduno di Ufficiali al Teatro Adriano, che mobilitò moltissimi giovani ufficiali e militari del disciolto esercito. Soldati, graduati, sbandati in quel tragico periodo dopo l'8 settembre e in seguito alla presa di posizione del nuovo fascismo repubblicano, che cercava di salvare l'Italia dalle prepotenze dell'ex alleato tedesco, dopo il tradimento badogliano di Cassibile, affluirono via via, nelle caserme del ricostituito esercito repubblicano.(12)

  Nel mese di Ottobre del 1943, assente quasi completamente la componente antifascista, la RSI poté operare in modo graduale la sua autonomia dalla pressante tutela germanica, operando in tutti i settori della vita pubblica cercando di ricucire e di rinnovare i rapporti tra le varie classi sociali in tutti i settori della società italiana.(13)

  In quei giorni vi fù il richiamo delle classi 1923-24-25 e non tutti, negli ambienti fascisti, videro bene questa mossa di Mussolini. I più intransigenti volevano un esercito di partito composto solamente da volontari; anzi il loro motto era questo: "Chi non sente la necessità morale e spirituale di impugnare le armi in difesa della Patria tradita deve restarsene a casa".

  Mussolini fu però irremovibile; egli sapeva molto bene che la relativa autonomia che godeva in quel periodo iniziale il governo della RSI, non derivava dalla forza specifica che era nelle sue mani, ma dalla stima che il Capo tedesco aveva nei suoi confronti. Per fare della RSI un soggetto attivo di storia in quel quadro di immensa tragedia che stava sconvolgendo l'Europa, era necessario costruire un esercito efficiente e perfettamente disciplinato, anche per fronteggiare gli interessi egoistici dei tedeschi ai quali, in quel frangente, interessava più avere un’Italia occupata in condizioni di assoluta dipendenza.(14)

  All'appello, fatto dal Governo Repubblicano ai giovani di leva, risposero pertanto in numero altissimo i giovani e la risposta andò, in quel momento, oltre le più rosee previsioni.

  Alla data del 30 Novembre 1943, ultimo giorno per presentarsi nelle caserme, l'83% dei richiamati aveva risposto all'appello.(15)

  Questa vasta partecipazione delle nuove reclute ai richiami della Repubblica Sociale Italiana, non è mai stata digerita dalla storiografia antifascista; difatti troviamo notevoli contraddizioni in molte pubblicazioni agiografiche resistenziali. Nelle storie locali riguardanti espressamente il nostro territorio viene, ad esempio, riportata come fonte attendibile(16) il dato sulla situazione regionale al 13 Dicembre 1943 che dava per l'Emilia e Romagna un totale di 17.248 giovani tra volontari e reclute presentatisi ai Comandi del nuovo esercito repubblicano. Contemporaneamente nello stesso testo è tacciato di falso l'autore della grandiosa opera pubblicata su quel periodo: "Storia della guerra civile", Giorgio Pisanò il quale sottolinea l'alta percentuale di iscritti al PFR in tutte le Provincie emiliane.(17)

    "In mezzo alle menzogne ed ai falsi...il neo fascista Pisanò avanza per Modena una notizia esatta, in altre parole la partecipazione del fascismo giovanile alla Rsi e l'assenteismo di molti vecchi fascisti."(17bis)

    Lo stesso autore resistenziale cita inoltre molti altri storici partigiani locali, i quali affermano che quella chiamata non aveva dato risultati disastrosi per la RSI.

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   Si cerca poi, di fare un distinguo tra coloro che si presentarono nelle file della Milizia e dell'esercito repubblicano e quelli reclutati dai tedeschi "per amore o per forza", precisando che certamente 70-80 mila uomini furono quelli che si presentarono spontaneamente, mentre altri 40-50 mila erano appunto stati reclutati forzatamente.

  Su 180.000 chiamati nel Nord Italia, se ne presentarono 120-130 mila, ma non può essere presa completamente, per buona, la percentuale riportata dall'autore resistenziale, in quanto, a quel 13 Dicembre 1943, mancavano i dati di molte provincie quali: Como, Mantova, Arezzo, Pisa e Livorno. Sempre nel testo dal quale sono stati desunti i dati che andiamo citando, per quanto riguarda la Provincia di Modena si confessa di non aver nessun dato organico per il territorio modenese; in compenso si dà per scontata la completa risposta delle reclute in quel di Mirandola e San Felice mentre si precisa che nel carpigiano ci sarebbero stati 130 renitenti e 65 tra Monfestino e Serramazzoni.(18)

  Si può dunque dire, in tutta certezza, ed è un dato ormai storicamente provato, che fu la maggioranza dei giovani a aderire al nuovo esercito repubblicano, mentre è altrettanto storicamente provato che furono ben pochi quelli che si diedero alla macchia per iniziare la carriera di partigiani. Moltissimi tra coloro che in quel periodo si nascosero e non si presentarono alle varie chiamate non risposero, né alle sirene fasciste né a quelle antifasciste, cercando semplicemente di far trascorrere il tempo nella speranza che gli avvenimenti precipitassero rapidamente, per poi uscire allo scoperto al momento in cui si poteva giocare la carta vincente.

  Resta inoltre sempre da stabilire, con obbiettività, il numero di coloro che in quel periodo iniziale si diedero all'attività partigiana: come è sottolineato nel testo resistenziale dal quale abbiamo avuto questi dati, la legge partigiana prevedeva, per il riconoscimento di quella qualifica, la partecipazione ad almeno tre azioni armate.

  Nella Provincia di Modena al 31 Dicembre 1943 i partigiani sarebbero stati 1299 (precisamente 1169 partigiani più 130 patrioti).(19)

  E' abbastanza semplice rilevare che se queste milletrecento persone avessero tutte partecipato ad almeno tre azioni armate, la lotta partigiana in provincia di Modena, avrebbe assunto, in quel primo periodo, ben altra dimensione. Tutto questo in netto contrasto rispetto a quello che è possibile rilevare dalle fonti antifasciste che, tutte, concordano nel limitare l'attività clandestina a pochissime azioni.

  Sempre a questo proposito e tenendo conto che il PC era pur sempre il Partito meglio organizzato e più impegnato di tutto il CLN, lo stesso autore del testo sopracitato, non si può nascondere, in contraddizione con certe valutazioni apologetiche che si trovano nella maggioranza dei testi che trattano della resistenza, la difficoltà di penetrazione di tale attività nei vari strati della popolazione sia in città sia nelle campagne. Non può inoltre trascurare, quanto gran parte della pubblicistica e della saggistica, specialmente quella relativa alle nostre zone, abbondi di iperboliche narrazioni, di retorica e di autoesaltazione.

    "E' anzi necessario sottolineare immediatamente che il processo di militarizzazione del partito comunista fù estremamente rapido, quello di utilizzazione delle strutture armate in azioni contro uomini fù lento, controverso e diede adito ad uno scontro generazionale, in un primo tempo a successivi cambiamenti dei quadri dirigenti, militari e politici, poi fino a giungere, negli ultimi giorni del Dicembre '43 alla sostituzione dello stesso segretario di federazione."(20)

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    Viene inoltre così commentato questo passo, in una nota in proposito:

    "La leggenda di grosse azioni a Modena sin dall'autunno 1943 che trovò largo spazio nelle prime pubblicazioni della resistenza, continuano purtroppo ad inficiare anche recenti (e del resto ottime) pubblicazioni come: "La lotta armata" di L. Bergonzini."

    Ancora: in un rapporto al "centro del partito" (comunista) un capo partigiano, citato dallo stesso autore, rilevava che al 16 Dicembre 1943, la situazione era la seguente:

    "pur essendo nelle quattro Provincie ( Modena, Parma, Reggio, Piacenza ) l'organizzazione ancora in via di sviluppo ne risultava comunque un "partito poco legato alle masse" nei confronti delle quali a volte vie era "debole fiducia".

  Questo era certamente uno degli elementi che causava "una notevole pesantezza nel prendere tempestivamente certe iniziative" altro elemento di freno era l'attesismo che annebbia ancora il cervello di molti" forse anche per la paura di lasciarci la pelle".(21)

LE FORZE ARMATE DELLA RSI NEL MODENESE

   Come abbiamo potuto vedere, subito dopo l'8 Settembre, i fascisti modenesi riprendono velocemente i loro posti; si organizzano in modo da tamponare la tracotanza tedesca e, man mano che l'apparato governativo della nuova repubblica comincia a funzionare, un sempre maggior numero di uomini si arruola nel nuovo esercito e nelle strutture parallele.

  Il fascismo repubblicano modenese è uno dei primi del Nord Italia a rinascere dalle ceneri dell'incredibile periodo badogliano e, a farne parte saranno, nella maggioranza, giovani ed idealisti che vedevano nel nuovo Mussolini riscoprirsi quegli ideali che durante il ventennio si erano in parte affievoliti o che, per cause contingenti e per il bene supremo della Nazione, si erano dovuti momentaneamente accantonare.

  I corpi militari a Modena, durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana, erano organizzati nelle varie strutture che, sinteticamente, andremo ad esaminare una per una:

    COMANDO MILITARE PROVINCIALE.

    Il 3 Novembre 1943 si costituisce a Modena il 42° Comando Militare Provinciale; era alle dirette dipendenze del 202° Comando Militare Regionale e portava il n. 797 di posta da campo. Il Comando fu tenuto, inizialmente, dal Colonnello Costantino Rossi, sostituito in seguito dal Colonnello Antonio Petti.

  Il 47° Distretto Militare, che aveva sede nella Caserma "Fanti" in Via Saragozza, sopravvisse, senza soluzione di continuità ai fatti dell'8 Settembre.(22)

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    SCUOLA ALLIEVI UFFICIALI DELLA GNR

    Nel mese di Febbraio del 1944 è costituita la Scuola Allievi Ufficiali, presso la Caserma: "Ciro Menotti". I giovani allievi ufficiali, che provenivano dai Comandi Provinciali delle GNR della Lombardia, della Toscana e del Veneto, raggiunsero il numero di 550 effettivi: al comando di questa Scuola venne posto inizialmente il Colonnello, Ignazio Battaglia sino al 25 Agosto 1944 e, successivamente il Tenente Colonnello, Chiavellato.(23

  Ebbe varie dislocazioni: iniziale a Modena, poi a Mirandola, Velo d'Astico (Vi) e Bellano.(Como) Il 4 Novembre 1944 venne sciolta.

  Oltre ai Comandanti citati, la Scuola Allievi Ufficiali di Modena aveva la seguente struttura:

  Vice Comandante: Ten. Col. Sbrozzi Dino;

  aiutante maggiore: Perfetti.

  Ufficiale di Amministrazione: Maggiore Moccia.

  Ufficiale Cappellano: Don Gino Marchesini.

  Ufficiale dei materiali: Capitano Conti;

  Ufficiale medico: Ten. Capizzi;

  Ufficiale pagatore: S. Ten. Carra Francesco;

  Ufficiale al vettovagliamento: Capitano Carta e Capitano Borelli Tommaso;

  L'Ufficio Studi della Scuola era così composto:

  Maggiore Cova Orazio, Capo Ufficio;

  addetto ai regolamenti, Capitano Anglana;

  Logistica: Cap. Conti:

  addetto ai collegamenti: Capitano, Orsolini;

  Ufficio Topografia: S. Tenente Garibotti;

  Ufficio Educazione Fisica: Ten. Laschi Dario;

  plotone esploratori: Ten. Licita Bruno;

  il battaglione allievi ha avuto come comandanti il Maggiore, Cova Orazio ed il Maggiore Ciaramidaro.

  Alle quattro compagnie allievi erano addetti i seguenti Ufficiali:

  1° Compagnia: Maggiore Ciaramidaro poi Capitano Lauro Anglana;

  2° Compagnia: Capitano Langella Alfio; Ufficiali, Ten. Della Longa, Scacchiotti Giuseppe e Di Nunno Vincenzo;

  3° Compagnia: Ufficiali: Langella Alfio, poi Romiti Romeo, S. Ten: Cianetti e Lorenzi;

  4° Compagnia: Ufficiali: Orsolini Carlo e S. Ten. Romiti Romeo.(24)

  Gli allievi della Scuola di Modena, presero parte a parecchi scontri con i partigiani, dalla Primavera 1944, sia sul nostro Appennino sia nella zona del Comasco, dove, a Bellano, era stata trasferita.

  Subirono parecchie perdite nel 2° bombardamento aereo sulla città di Modena, in quanto alcune bombe colpirono la caserma Ciro Menotti. Molti Allievi ufficiali vennero uccisi in molte imboscate ed agguati tesi loro dai partigiani.

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  GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA

    A Modena ebbe sede il 633° Comando Provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana, già 72° Legione "Farini". Comandante fu il Colonnello Antonio Petti, che venne fucilato al termine della guerra.(25)

  L'organico del 633° Comando della Gnr era così composto:

  Vice Comandante: Ten. Col. Sartorelli Arturo;

  aiutante maggiore: Niccolai;

  Dirigente del Servizio sanitario: Ten. Col. medico: Giunta Dott. G;

  Il battaglione territoriale era al Comando del Maggiore Arturo Mori.

  I distaccamenti della GNR nella Provincia di Modena erano dislocati nelle seguenti località:

  Carpi, Castelfranco Emilia, Cavezzo, Lama Mocogno, Maranello, Mirandola, Pavullo, Sassuolo, Spilamberto e Vignola.

  Al Comando della 633° compagnia OP,(26) era il Capitano Piva Bruno che aveva come sottufficiali il S. Ten. Legitimo Marcello e il S. Ten. Virgili.

  Moltissimi furono i militi e gli Ufficiali della GNR che vennero uccisi dai partigiani in agguati ed imboscate, oltre a tantissimi trucidati al termine della guerra.

    BRIGATE NERE

    Nel Giugno 1944, in seguito alla deteriorata situazione sul fronte interno e in seguito all'entrata in Roma delle truppe angloamericane, oltre all'intensificarsi dell'attività partigiana, con i continui agguati ed uccisioni di tedeschi e fascisti, Mussolini, con decreto legislativo, promulgò la trasformazione politico-militare del Partito Fascista Repubblicano, in organismo di tipo militare, costituendo il Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere, chiamate in un secondo tempo, "Brigate Nere".

  A Modena si costituì il XXVI° Reparto della Brigata Nera al quale venne imposto il nome di uno squadrista modenese ucciso a Zocca pochi giorni prima dai partigiani: "M. Pistoni".(27)

  Alla Brigata Nera modenese è stata addossata, dalla propaganda antifascista, ogni tipo d'infamia. Con il gioco delle parole e della deformazione dei fatti, oltre al martellante ed asfissiante lavaggio del cervello, nell'opinione pubblica è stata creata l'equazione: Brigata Nera = criminali.

  E' ora di sfatare anche questa leggenda e per far questo sarebbe sufficiente ricordare le innumerevoli vittime che, sia durante i 600 giorni, sia al termine della guerra, sono state immolate dal moloc comunista nella ricerca, assurda, di eliminare ogni traccia di fascismo con i metodi più abbietti e crudeli.

  I militi della Brigata Nera, sorta con il compito di proteggere le popolazioni civili dalle "bande" partigiane, si trovarono continuamente esposte a innumerevoli attentati tesi loro con la ben nota tecnica comunista del "colpire e fuggire", che tanti lutti ha provocato tra le truppe tedesche e fasciste oltre che sulla popolazione civile, coinvolta in molti casi nelle rappresaglie e in molti casi innocente.   

  Militi delle "brigate nere" erano tutti coloro che, dai 18 ai 60 anni, alla data del 1° Luglio 1944, erano iscritti al Partito Fascista Repubblicano. Tra loro vi erano vecchi squadristi e giovanissimi idealisti, entrambi ebbero il coraggio di arrivare sino all'olocausto, indossando quella camicia nera nella quale avevano fortemente creduto, come tanti altri prima, ma che però furbescamente, al momento del crollo ebbero la faccia tosta di "saltare il fosso" con estrema disinvoltura, salvando la pelle o evitando tutte le conseguenze, quali campi di concentramento, epurazioni e vessazioni di ogni genere alle quali furono sottoposti i sopravvissuti.

  Ma questi combattenti, che erano regolarmente inquadrati e che si sono sempre esposti ad ogni sorta di pericolo, erano i primi ad accorrere in soccorso delle popolazioni quando queste ne avevano necessità, vessate come erano dai continui bombardamenti e dai micidiali mitragliamenti degli anglo-americani, oltre che dalle scorribande ed ai "prelevamenti" dei partigiani. La brigata nera non ha più colpe, se di colpe in alcuni casi si può parlare, di quante ne abbiano potute avere le altre formazioni dell'esercito repubblicano.

  I militi della brigata nera erano i più esposti alla rappresaglia dei partigiani, e da questi i più odiati, in quanto rappresentavano la parte più intransigente, ma anche più schiettamente popolare, del nuovo fascismo repubblicano. In tutta la Provincia di Modena furono continuamente bersagliati dagli attentati dei "ribelli" ed ebbero il maggior numero di trucidati nel periodo successivo al 25 Aprile.

  La Brigata Nera "M. Pistoni", era costituita dal 1° e dal 2° Battaglione; ogni battaglione era a sua volta suddiviso in tre compagnie. Ne furono comandanti: sino all'Ottobre 1944, Solmi Gian Paolo, poi, sino alla fine, Tarabini Giovanni.(28)

    COMANDO RECLUTAMENTO "SS ITALIANE"

    Il Comando dell'Ufficio reclutamento delle SS italiane era situato a Modena, in un primo tempo presso la Caserma Garibaldi, poi venne trasferito in Via Gaetano Tavoni 40.

  Comandante era il Capitano Giacomo Sacchi, coadiutori il caporal maggiore Aldo Vandelli ed il soldato Gualtiero Demenego.(29)

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LE FORZE ARMATE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA RIFERITE A TUTTO IL TERRITORIO

  Il totale delle forze che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, su tutto il territorio Nazionale fu di oltre 800.000 unità.

Erano così suddivisi:

    ESERCITO

  - Stato Maggiore dell'Esercito.

  - 1° Divisione: Bersaglieri, "Italia".

  - 2° Divisione: Fanteria, "Littorio".

  - 3° Divisione: Fanteria di Marina: "San Marco"

  - 4° Divisione: Alpina: "Monterosa".

  Unità’NON INDIVISIONATE:

  - Raggruppamento, "Cacciatori degli Appennini".

  - Raggruppamento, "Reparti antipartigiani"

  - Reparti autonomi bersaglieri : - 3° Regg. Bersaglieri Volontari.

                                  - Regg. to Bersag. Volontari, "L. Manara"

                          TOTALE 405.000 uomini

    GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA

  - Comando

  - Ispettorati Regionali e Provinciali

  - Reparti Operativi:

         - Guardia del Duce.

         - Granatieri.

         - Reparti d'assalto, reparti carro, reparti paracadutisti

           reparti controcarro, reparti autonomi.

  - G.N.R. : Confinaria, Costiera, Ferroviaria, Postelegrafonica, Forestale, Portuale, Stradale.

     - Scuole Allievi Ufficiali.

                                               TOTALE 150.000 uomini

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    DECIMA MAS

  - Comando

  - Attività navali, terrestri, servizio ausiliario.

  - Reparti operativi:

          - Fanteria di marina, reparti speciali, reparti artiglieria,

            genio, guastatori, bersaglieri.

                                              TOTALE 25.000 uomini

    MARINA REPUBBLICANA

  - Stato Maggiore

  - Fanteria di Marina

  - Flotta da guerra: tonnellate complessive. 469.082.

  Hanno effettuato azioni di guerra:

  - 2 Incrociatori - 8 Cacciatorpediniere - 28 Torpediniere - 31 Sommergibili - 26 Corvette - 7 Mas - 4 Vedette antisommergibili - 2 Motosiluranti - 3 Posamine - 12 Dragamine - 11 navi ausiliarie - 9 Trasporti - 46 Rimorchiatori - 12 Cisterne

                                           TOTALE 26.000 uomini

    AEREONAUTICA REPUBBLICANA

  - Stato Maggiore

  - Officine, magazzini.

    Reparti operativi:

  - Caccia - Bombardamento (non operanti) - Aerosiluranti - Trasporti - Artiglieria contraerea - reparti arditi paracadutisti, battaglioni anti paracadutisti.

                                           TOTALE 79.000 uomini

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    BRIGATE NERE

  - Comando

  - BB.NN. mobili

  - 39 Raggruppamenti di Brigate Nere territoriali.

                                             TOTALE 110.000 uomini

    LEGIONE AUTONOMA "E. MUTI"

  - Comando

  - Reparti vari

                                             TOTALE 3.500 uomini

    SERVIZIO AUSILIARIO FEMMINILE

  - Comando

  - Comandi Provinciali

  - Scuole e corsi speciali in numero di 6.

                                             TOTALE 5.500 donne   

    FIAMME BIANCHE

  - Reparti giovanissimi per l'assistenza alla popolazione

                                             TOTALE  5.000  ragazzi

         Totale generale, tra Ufficiali e soldati :  809.000(30)

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 La Storia della Resistenza

      

     LA STORIA DELLA "RESISTENZA"

 Nell'esaminare la gran mole di materiale relativo all’epopea" partigiana, abbiamo potuto costatare quanto siano numerose le pubblicazioni che fanno riferimento a fatti ed episodi avvenuti nella nostra Provincia. Il Partito comunista locale, l’ANPI e molti enti del modenese, hanno contribuito, dal 1945 ad oggi, a creare una vastissima "letteratura".

Una mole incredibile di libri, riviste, saggi, documentazioni, distribuiti a larghe mani negli enti locali, nelle scuole, nelle strutture di partito in tutta la vasta organizzazione centrale e periferica del PCI modenese e genericamente in tutte le capillari ramificazioni di cellule ed aggregazioni varie della sinistra; distribuzione ovviamente forzata e gratuita poiché, tutte queste pubblicazioni anche se messe in vendita nelle librerie, ovviamente legate al carrozzone rosso, ben poco successo ha ottenuto come numero di copie vendute.(1)

Nel periodo iniziale tale quantità di carta stampata era quasi esclusivamente di parte comunista e di tipo smaccatamente apologetico; le altre forze politiche che avevano preso parte alla "resistenza", hanno inizialmente misconosciuto la loro, seppur modesta, partecipazione alla guerra partigiana, accusando, tra l'altro, molto spesso la componente rossa di misfatti ed atrocità; ma con il passare degli anni queste minoranze della guerriglia hanno cercato di far comprendere all'opinione pubblica che, in fondo, la lotta partigiana non doveva essere rivestita solamente dalle bandiere con falce e martello. Sono dovuto, ovviamente, arrampicarsi sugli specchi, ma sono ugualmente arrivate a pioggia una serie di libri e libercoli tendenti a valorizzare la presenza delle altre forze resistenziali nella guerra civile, anche se in realtà la risposta della storiografia comunista è sempre stata quantomeno critica e quasi sprezzante verso queste forze avendole accusate sempre d’inettitudine , di scarsa partecipazione, di modesta rilevanza nella "dura" battaglia condotta contro gli odiati nazi-fascisti.

E' anche vero che alle manifestazioni celebrative che per tutti questi anni hanno sommerso la nostra penisola, la partecipazione corale era ed è ancora quasi esclusivamente comunista ed i rappresentanti ufficiali dell'autorità costituita, nella maggioranza dei casi sono stati costretti, per la loro posizione, a partecipare più per dovere d’ufficio che per sentita devozione.

Tutto questo è servito a far capire a molti italiani, che non si sono lasciati fare il lavaggio del cervello di tipo sovietico, come si sono potuti formare , anche in tempi lontani, i miti più fantastici.

Cosa è stata dunque la resistenza?

Spiccano, in una prima analisi, due caratteristiche fondamentali: principalmente essa è stata voluta, ispirata e fomentata dalla coalizione russo-inglese-americana per i loro fini; in secondo luogo dal momento in cui è stata trasportata dagli uomini sul territorio, il merito (o per meglio dire il demerito) è quasi esclusivamente dei comunisti, che a quell'epoca ma ancora sino alla fine degli anni "80, dipendevano dagli ordini di Mosca.

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Il disegno dell’imperialismo sovietico era di gran portata e travalicava gli stessi motivi contingenti, il traguardo della conquista di buona parte del mondo occidentale, per l'insipienza di molti politici inglesi e americani e per certe astuzie di Stalin, aveva la possibilità di rendersi concreto con l'aiuto delle quinte colonne, sparse nei vari paesi, come facilmente sarebbe potuto accadere anche nella nostra Italia.

Difatti tutte le penetrazioni comuniste al seguito degli eventi bellici, avvenuti in buona parte dei paesi dell'est europeo e che hanno portato al potere i fedelissimi del Cremlino, hanno avuto aspetti simili a quelli del perfezionamento della strategia del Partito Comunista nell’evolvere al massimo grado la guerra civile, secondo i teoremi del più tipico marxismo sovietico.

Per fare un riferimento storico, relativo agli avvenimenti di casa nostra, e non estremamente lontano nel tempo, si può risalire a quanto avvenne nella prima guerra mondiale. Nel 1917 i tedeschi rispedirono il rivoluzionario Lenin a Pietroburgo, all'interno del famoso vagone piombato, per aiutare la rivoluzione bolscevica onde minare dall'interno la resistenza nazionale russa e poter distogliere da quelle frontiere le forze necessarie a fronteggiare, sul fronte occidentale, gli attacchi d’inglesi, francesi e italiani.

Un aspetto analogo, pertanto, lo troviamo nell'Italia del crollo badogliano con la previsione di una situazione di conflittualità interna che si andava prevedendo con i tradimenti e le lotte intestine, scaturite nella bagarre della classe politica italiana con i tradimenti del 25 Luglio e dell'8 Settembre.

Gli alleati riportarono nel nostro paese quei capi comunisti, con alla testa Togliatti, fedele esecutore degli ordini di Stalin, sbarcato in un porto del meridione da una nave americana e che dall'esilio erano stati preparati a creare la sollevazione del paese a vantaggio dei disegni sovietici.

Infatti tutti i favori furono elargiti ai comunisti nella formazione dei vari Ministeri del Governo Italiano del Sud, vedi l’inserimento di Togliatti, Gullo, Scoccimarro ecc. In più il Commissario americano per la Lombardia diede istruzioni, ancora nell’immediato dopoguerra, al suo “Labour Officier”, Ten. Col. Thomas Fisher. che era professore all’Università di Siracuse(N.Y.), di affidare le cariche relative al lavoro ed alla mano d’opera, esclusivamente ad uomini del PCI. Lo stesso Fisher nel 1950, in una conferenza all’Accademia Americana di Scienze politiche, ebbe ad affermare che “se non fosse stato per quelle istruzioni, che egli deplorava vivamente, Togliatti e la comunista Confederazione Generale del lavoro non sarebbero così influenti come sono oggi.”(2)

In merito poi al carattere tipicamente comunista della resistenza in Italia, dimostrabile ormai storicamente da una serie di studi e prove, sarebbe opportuno che i partiti politici, che non presero parte attiva al massacro voluto dai rossi, prendessero finalmente le distanze in modo chiaro e definitivo.(3)

Già dalla "terza internazionale" di Lenin. l'obiettivo finale dell'Urss doveva essere la rivoluzione mondiale. Da quel tempo, tale obiettivo non è cambiato, anzi è sempre stato perseguito con gran determinazione e con tutti i mezzi possibili, palesi ed occulti, ancora negli anni 80, prima del crollo definitivo del colosso d'argilla comunista, ed in quest'ottica va’ collocata anche la guerra civile in Italia che, per i motivi della spartizione del bottino avvenuto a Yalta, non ha potuto vedere completamente riconosciuto lo sforzo dei comunisti italiani che avrebbero voluto la sovietizzazione del nostro territorio come invece avvenne per tanti paesi quali la Germania dell'Est, l'Estonia, la Lituania, la Lettonia, la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria e fuori dell’Europa negli anni successivi al termine della seconda guerra mondiale per, Cuba, Corea del Nord, Vietnam, Laos, Cambogia, Etiopia, Yemen, Afganistan, ecc. oltre ad aver installato quinte colonne , con i vari partiti comunisti, anche in tanti paesi del mondo libero.

L'Italia, in quel periodo, subì pertanto questa duplice pressione, ma quanti furono effettivamente gli uomini che cercarono di aiutare questo piano? Non si conosce esattamente il numero dei partigiani operanti durante le ostilità, anche se, secondo dati pubblicati dopo il conflitto dai servizi d’informazione alleati e mai smentiti, il totale delle forze partigiane combattenti in Italia Settentrionale, in data 1° Aprile 1945 ( cioè alla vigilia della conclusione della guerra ) ammontava a 89.492 uomini così distribuiti nelle varie regioni: Emilia - Romagna 13.670, Liguria 15.400, Piemonte 34.812, Lombardia 13.072, Veneto 12.538. Non è possibile precisare quanti fossero coloro che parteciparono ad azioni militari e quanti invece furono i semplici disertori che restarono nascosti sui monti e nei boschi.

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E' stato solamente dopo il 25 Aprile che si ebbe l'inflazione dei partigiani che salirono a 200.000 sino a raggiungere il numero di 400.000 uomini, muniti di certificati di partigianeria, generosamente rilasciati e che a molti servirono a crearsi una nuova verginità per un successivo carrierismo politico.

Come poi fossero suddivisi tra i vari partiti resta ancora più difficile stabilirlo e in nessuna pubblicazione della resistenza si hanno dati attendibili circa la presenza numerica di comunisti, democristiani, socialisti ecc. Ma resta scontato un fatto, gli elementi dirigenti, quelli di maggior peso e che facevano il bello ed il cattivo tempo nei vari CLN, erano quasi esclusivamente comunisti, che operavano agli ordini di Mosca anche se stipendiati dagli anglo-americani.(4)

La Provincia di Modena, come vedremo, fu effettivamente in mano alla dirigenza comunista e le direttive in zona erano date dagli uomini di Longo, anche se a capo del CLN Nazionale, dopo aspre ed infinite discussioni era stato posto il Generale Raffaele Cadorna.(5)

Tutte le iniziative più eclatanti furono ideate e poste in atto dai comunisti, molto spesso contro l'opinione dei capi nominali della resistenza. L'attentato di Via Rasella, ad esempio, che provocò l'efferato eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, fu preparato e svolto, nonostante gli ordini contrari del generale Armellini capo della resistenza clandestina in Roma, dai comunisti, Bentivegna, Calamandrei, e C. Se vogliamo esaminare quali fossero gli scopi della resistenza dobbiamo in ogni caso fare la netta distinzione tra quello che era il filone che seguiva le direttive degli alleati e ciò che invece perseguivano i comunisti. E inoltre, distinguere tra gli scopi che il movimento partigiano dichiarava di volere, quello che desideravano od auspicavano come fine ultimo e quelli che, in effetti, sono stati i risultati raggiunti.

E' evidente che gli alleati cercavano di far intervenire le truppe ribelli contro le forze armate tedesche e fasciste della RSI in modo da creare il maggior scompiglio possibile sabotando le retrovie, tagliando le comunicazioni, distruggendo depositi e quant'altro potesse portare danno alle forze militari impegnate sul fronte italiano.

Ciò che i partigiani, e in particolare i comunisti, andavano ricercando era molto più complesso; quello di combattere tedeschi e fascisti era ovviamente l'obbiettivo immediato ma lo scopo fondamentale era quello di preparare la rivoluzione comunista. Quello che interessava, di conseguenza, i partigiani rossi era eliminare il maggior numero d’italiani fascisti , e questo è stato fatto durante la guerra ma in modo particolarmente efferato al termine della stessa, poiché questi si stavano opponendo e si sarebbero opposti anche dopo, in modo veramente irriducibile , ad una presa del potere del comunismo; si spiegano dunque le stragi, iniziate con una miriade d’assassini individuali ed in seguito su scala più vasta, tale da poter parlare di un vero e proprio genocidio di fascisti, a guerra ultimata, in tutta l'Italia Settentrionale.

Ma vediamo di analizzare ciò che la resistenza ha raggiunto, gli scopi e i metodi che ha perseguito e quali obbiettivi ha obbiettivamente realizzato. Prima di entrare nel merito di quest’interpretazione è importante una premessa che prende lo spunto da uno scritto apparso sul "Giornale Nuovo" a firma del giornalista Alberto Li Gobbi, proveniente da una famiglia antifascista che ha dato alla resistenza due medaglie d'oro, una delle quali alla memoria, circa una rivisitazione del fenomeno "resistenza".

Commentando un intervento del Generale Rambaldi, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, ad una conferenza tenutasi a Milano nel mese di Novembre del 1980, circa la presenza della Nato e della sua dottrina, il giornalista Li Gobbi, si avventura in considerazioni, quanto meno audaci per quei tempi, e riguardanti il ridimensionamento della Resistenza in Italia.

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 Questo Capo di Stato Maggiore sosteneva in quella conferenza la validità della formula Nato per contrastare la forte pressione russa verso l'Europa, controbattendo le teorie di coloro che avrebbero voluto vedere, in Italia, svilupparsi il concetto della cosiddetta "difesa territoriale" detta anche di tipo iugoslavo; difesa che dovrebbe essere effettuata da eserciti regionali o "rurali", mediante la guerra di guerriglia.

Questo tipo d’esercito e questo tipo di difesa potrebbero essere molto vantaggiosi per le future reclute e per le rispettive famiglie, in tempo di pace, ed anche in tempo di guerra, ma per il nemico, al quale queste teorie aprirebbero, gratuitamente, le porte di casa: alla domanda posta in quell'incontro: "Come mai, generale, ha speso tante parole per controbattere una teoria evidentemente assurda e suicida come quella di lasciare invadere con tanta generosità, il nostro paese, per poter poi spezzare le reni al nemico con la guerra di guerriglia?" il Generale Rambaldi ha così risposto:

 " La teoria della yugoslavizzazione della difesa nazionale, anche se di impossibile e pericolosissima attuazione è molto dannosa per le forze armate perchè genera in molte future reclute il dubbio che i sacrifici loro richiesti siano in gran parte inutili e dovuti solo ai capricci dei generali e della Nato. Tale teoria và quindi combattuta a fondo con tutti i mezzi come falsa e bugiarda."

 A questo punto il giornalista Li Gobbi pone questa domanda che riportiamo integralmente:

 " Signor Generale, premesso che io concordo al cento per cento, con quanto da Lei detto, perché non ricorriamo alla Storia, per controbattere nelle scuole e nelle famiglie e nell'opinione pubblica questa perniciosa teoria? Certo che per far questo occorrerebbe incominciare a ridimensionare e a smitizzare la cosiddetta "resistenza" riportandola, se ancora possibile, nei suoi giusti e pur grandi limiti e valori reali. "Resistenza" che ai giovani d'oggi, che non l'hanno vissuta, può apparire ingiustamente come un toccasana per tutti i mali e per tutte le salse. Come mio contributo a questa, da molti auspicata campagna ridimensionatrice e quindi rivalutatrice della vera resistenza (alla quale la mia famiglia ha partecipato guadagnandosi due medaglie d'oro al valor militare), vorrei ricordare che nessun popolo è mai riuscito a liberarsi dall'invasore con la guerriglia senza l'aiuto determinante di eserciti stranieri. Nemmeno la Yugoslavia e tantomeno l'Italia."(7)

 Quando mai, malgrado siano passati tanti anni, si riuscirà a rivisitare in tutta chiarezza il periodo della guerra civile fuori dalle strumentalizzazioni di parte e fuori dai falsi peana apologetici che hanno completamente stravolto la verità storica e della quale le giovani generazioni conoscono solamente una facciata della medaglia? Il nostro è un tentativo di far conoscere, almeno per il territorio della Provincia di Modena, quei fatti che sono stati o totalmente nascosti o, in molti casi, completamente stravolti dalla storiografia resistenziale. Speriamo che altri e più autorevoli storici possano mettersi alla ricerca della verità in modo da poter arrivare ad un più equilibrato e veritiero giudizio storico.

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 Vediamo a questo punto qual è stata la conquista rivoluzionaria della lotta partigiana al termine della guerra. Per quanto riguarda la lotta contro i tedeschi e la RSI potrebbe sembrare, a prima vista, che abbia raggiunto il suo scopo, almeno quello apparente: i tedeschi sono stati cacciati dall'Italia e la Repubblica Fascista è caduta. Ma questo risultato fu dovuto esclusivamente al merito delle immense forze delle truppe "alleate" che erano dotate di mezzi illimitati, forniti loro dall'industria americana che, lontano dal fronte, senza subire attacchi di sorta poteva produrre incessantemente ogni tipo di arma da buttare sul fronte europeo; ma in realtà il contributo partigiano, malgrado sia stato fatto credere sino ad oggi il contrario, è stato semplicemente marginale.

I comandi militari britannici, pur lodando ufficialmente per ragioni politiche, il movimento partigiano, in colloqui privati affermavano che questi avevano servito ben poco. Le truppe tedesche, avranno sì avuto danni e difficoltà da parte di queste bande armate, ma in realtà non hanno impiegato contro di loro che reparti di seconda linea: la stessa repubblica di Montefiorino, sulla quale si è fatta tanta pubblicità, fu sbaragliata in poco tempo da modesti reparti italo-tedeschi e su questa valutazione concordano ormai alcuni tra i più seri storici della resistenza. Forse l'unico risultato si è ottenuto nel tenere impegnati alcuni reparti della Repubblica Sociale Italiana che avrebbero potuto essere impiegati, come tanti altri ( vedi le gesta eroiche compiute sul fronte di Anzio e di Nettuno , in Venezia Giulia, da reparti della X Mas e dai bersaglieri) sul vero fronte di guerra e che invece furono costretti a combattere sul fronte interno contro fratelli che li affrontavano in agguati ed attentati, creando quel clima di odio e di vendette che ancora, a distanza di tanti decenni incancrenisce il vivere civile.

In quanto agli scopi rivoluzionari ed al raggiungimento del potere programmato dai partigiani rossi ben poco è stato realizzato.

Il traguardo del governo comunista non è mai stato raggiunto, (solamente in questi ultimi tempi, con camuffamenti vari e con l’aiuto degli ex componenti del CLN e di ex nemici sono arrivati a raggiungere quello scopo cercato a tutti costi con la violenza e con il sangue nel periodo della guerra civile e negli anni immediatamente successivi) anche se i singoli comunisti hanno potuto occupare dal dopoguerra ad oggi centri di potere regionali e locali che sono serviti a creare loro invidiabili condizioni economiche e ad essere invischiati in tutto il marciume delle ruberie dei partiti del cosiddetto arco costituzionale di questi ultimi anni, ma tutto questo non aveva niente a che vedere con le teorie del marxismo e con il passaggio del potere alla classe operaia, come sono sempre andati predicando sino al momento dell'annientamento e dell'auto-dissolvimento del comunismo internazionale, avendo in pratica aiutato il capitalismo e lasciandosi completamente fagocitare da questo.

Dalla fine della guerra sino agli anni 90 si era instaurato in Italia un regime democristiano, con moltissime pecche, debolezze e contraddizioni, ma che è restato al potere per tanto tempo proprio perché la maggioranza del popolo italiano non ha mai voluto accettare l'alternativa comunista, anche se la corruttela e l’inefficienza di tanti governi democristiani e socialisti hanno dato la possibilità, specie attorno agli anni 70 ai comunisti, di conquistare maggior peso nella vita politica italiana fino a raggiungere la conquista del governo, come abbiamo detto, nel 1998 senza avere avuto, come nella tradizione comunista, il vero successo elettorale in quanto la maggioranza del popolo italiano ancora non è comunista.

Ma un movimento che si considerava rivoluzionario e che riesce solo marginalmente nel suo intento professato e fondamentalmente per opera di altre forze, che, detto per inciso, dichiarava di voler strenuamente combattere, e non riesce in ciò che realmente mirava, deve considerarsi del tutto fallito. Difatti non ha creato le istituzioni delle quali era impregnata l’ideologia marxista, ha fatto solamente da supporto al capitalismo imperante e sostanzialmente ha creato quella situazione di enorme difficoltà in cui si dibatte la politica e l'economia italiana di questi anni.

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 Quanto la sinistra abbia accusato questa mancata realizzazione, anche quando vedeva sempre più allontanarsi le speranze createsi in certi anni nel contesto di semisfacelo della civiltà occidentale in genere, ma in modo particolare del pianeta Italia, lo confermano gli scritti di tanti "autorevoli" personaggi del mondo marxista, quali G. Bocca , Pasolini, ecc. Ma anche nella descrizione degli stessi uomini della sinistra fatta in film autobiografici del tipo de "La Terrazza", litigando negli anni del terrorismo sugli "album di famiglia" nel tentativo di analizzare quel fenomeno, tentando di indagare sulla posizione ideologica dei "brigatisti rossi" che, in ultima analisi, hanno portato avanti tutto ciò che i padri putativi della resistenza hanno sostenuto e difeso per tanti anni e che fondamentalmente questi hanno insegnato ai loro epigoni dei cosiddetti "anni di piombo".

L'arroganza e la protervia dei "resistenti" è stata elargita a piene mani a tanti giovani delle generazioni ultime: solamente pochi anni orsono succedevano nel nostro territorio episodi degni della Russia stalinista: ne citiamo uno tra i tanti.

Alcuni anni fa’, un insegnante anticonformista, ma pur sempre rispettoso dei limiti imposti dalla libertà d'insegnamento, tentò, dietro richiesta degli stessi alunni, di fare un analisi della Resistenza (il fatto successe in una terza media a Sassuolo), sostenendo la tesi che l'Italia era stata liberata dagli alleati e non dai partigiani e che il fenomeno del terrorismo rosso poteva essere collegato al filone della resistenza; successe il finimondo. Un’allieva, figlia del Sindaco comunista di Sassuolo riportò a casa le considerazioni fatte dall’insegnante, e si scatenò il putiferio: esposto al Provveditorato agli Studi, attacchi a non finire sulla stampa in modo tale da creare enormi difficoltà all'insegnante.(8)

Questo era il clima di persecuzione e di linciaggio che si viveva e che purtroppo si vive ancora oggi, a chi si azzardava o si azzarda a fare valutazioni fuori dagli schematismi farisaici di un certo potere tanto da venire accusati di lesa resistenza. E' doveroso, di conseguenza, affrontare il problema di come la storia della resistenza sia entrata, o abbia cercato di entrare, nella cultura contemporanea. Il conformismo anzi il manicheismo con cui la si vuole far passare per storia "tout court" lascia alquanto perplessi tutti i veri storici proprio per una mancanza totale di qualsiasi dibattito e per la carenza di una controrisposta adeguata e non solamente di parte, alle tesi degli autori resistenziali.(9)

Tutti gli storiografi sanno che affrontare il problema di un buon insegnamento della storia stessa è cosa estremamente difficile e oltremodo complessa. Eppure, di questo breve periodo della storia italica si è arrivati a valutarla in un’iperbolica ideologizzazione lasciandola in un contesto etico-politico ed in una dimensione che viene sempre più semplificata e nello stesso tempo portata avanti dai mass-media, attraverso gli ingegnosi e sofisticati sistemi di tutta "l'industria della cultura" che assopisce qualsiasi intelletto, in quanto non lascia spazio ad una critica obbiettiva, dando inoltre per scontati risultati non criticamente posseduti. Nella quasi totalità, gli storiografi della resistenza sono rimasti ad una normalizzazione acritica, sono caduti in un’iterazione meccanica di formule stantie e fideistiche, cadendo inoltre in valutazioni aprioristiche del più smaccato servilismo nei confronti della parte vincente.(10)

Abbiamo esaminato gran parte delle storie "resistenziali", di queste, moltissime sono basate su testimonianze orali sulle quali sono poi stati ampiamente commentati fatti e avvenimenti del modenese negli anni 43-45.(11) Nella quasi totalità sono state pubblicate dalle associazioni partigiane e in nessun caso abbiamo potuto constatare testimonianze espresse da chi si trovava nel campo opposto.

Ma riguardo a queste fonti è bene sottolineare come la maggioranza degli storici concordi nel ritenere la testimonianza orale uno dei tanti mezzi di cui servirsi per una buon’indagine di un determinato periodo storico, in quanto, la formula una volta in uso di fare storia solo sulla base di documenti è in parte superata. Ma che poi, di queste testimonianze se ne faccia un abuso per verificare e documentare è altrettanto modo falsato di fare della storia.

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Non è possibile, come in molti casi è stato fatto da autori locali, sostenere un privilegio assoluto alla fonte orale e usarla in modo indiscriminato per avvalorare fatti e determinate tesi. Si può notare che, in molte di queste pubblicazioni, le testimonianze sono state raccolte in tempi recenti, a distanza perciò di parecchi decenni da quegli avvenimenti. E' abbastanza evidente che, per ciascuna di queste, per quanto veritiere e vicine al pensiero di chi le ha vissute, sono, quanto meno, inficiate dal tempo trascorso; e in più, quali sono i meccanismi di scelta in questi testimoni per narrare quello che può essere o non essere interessante? E fino a che punto il funzionamento della memoria può soccorrere la veridicità di un episodio? Quanto di condizionante vi è nella dimensione psicologica di un individuo nell'appartenere ad una classe sociale o ad un altra, dell'ambiente familiare e sociale in cui vive, delle influenze avute nelle letture, nei commenti e nelle scelte di fondo di queste persone? Nel fare una raccolta di tali testimonianze si rimane pur sempre in dimensioni molto ristrette e il senso della storia è limitato a piccoli episodi che, pur restando, nella migliore delle ipotesi, il più veritieri possibile, non entrano quasi mai nell'analisi o nella ricerca della controtestimonianza, poiché è pur vero che di ogni fatto si può avere anche il rovescio della medaglia(12).

E' altrettanto dimostrato, dalla maggioranza degli storici, che la quasi totalità dei fatti della storia giungono a noi "impuri", arrivano sempre riflessi dal cervello di chi li registra. Sarebbe pertanto opportuno, per buona parte della storiografia resistenziale, occuparsi in primo luogo dello storico, poi analizzare i fatti che prende in esame. E' evidente che la maggioranza di questi autori basa le proprie argomentazioni più su aspetti ideologici che sul piano scientifico; risultano, di conseguenza, delle "interpretazioni" storiche e pertanto una storia ideologica più che un’interpretazione storico-scientifica quale in realtà si dovrebbe fare. Si dovrebbero prendere maggiormente in considerazione scienze come, la psicologia, l'economia, la sociologia nello studio delle varie motivazioni che possono aver spinto, attraverso determinate scelte, gli uomini di quel periodo a schierarsi su l'uno o su l'altro dei versanti della guerra civile. Si nota invece una falsa interpretazione della sociologia e dell'economia, in funzione di scelte politiche attuali, da parte dello storico resistenziale, a sostegno ovviamente di tesi ideologiche e settarie precostituite. Non è ancora stato aperto un dibattito serio e libero dagli odi di parte, per uno studio approfondito ed il più possibile distaccato da interpretazioni volutamente "partigiane".

Quando un fenomeno storico può essere spiegato in un modo, deve necessariamente poter essere spiegato in un altro modo(13).

Per questo sarebbe opportuno andare incontro ad un metodo storico di taglio più espressamente psicologico e che tenga presente la posizione dello storico stesso il quale, per quanto limiti la sua ricerca ad un aspetto, seppur circoscritto del tempo passato, vive pur questo con intensità attuale e professionale. La revisione della storia della resistenza potrebbe partire anche da questi presupposti; attraverso un’indagine comparativa degli atteggiamenti psicologici degli uomini che hanno preso parte ad una terrificante guerra civile si potrebbe meglio studiare il fenomeno e avere, anche sociologicamente un più ampio ragguaglio sul periodo che stiamo prendendo in considerazione.

Perché poi, in tutta la storia della resistenza, e in particolare modo di tutto il repertorio delle "testimonianze orali" non si è mai dato ascolto alla parte soccombente? Tale aspetto può essere visto da due angolazioni; innanzitutto la storia della resistenza è stata esaminata semplicisticamente attraverso una visuale di ricostruzioni celebrazionistiche ed unanimistiche che ben poco avevano di obbiettivo(14); pertanto il tutto dovrebbe essere rivisitato dagli stessi storici antifascisti che ammettono che anche la resistenza ha le sue luci e le sue ombre, ma, aggiungiamo noi, le loro ombre sono andate sempre più inscurendosi sino a non farsi più né vedere né sentire, mentre le luci, se vi sono state, vengono attualmente ed in modo esagerato amplificate da potentissimi riflettori. Se la resistenza è stata un grande fenomeno popolare, quale sino ad oggi si è tentato di far credere, non è stato altrettanto grandioso fenomeno popolare l'adesione alla Repubblica Sociale di migliaia e migliaia di giovani arruolatisi volontariamente in quell'esercito e delle centinaia di migliaia di vittime immolate dopo la "liberazione"?

E forse che le luci e le ombre non vi sono state anche per i fascisti?

Indubbiamente concordiamo nel giudizio che è stato dato in risposta ad una lettera scritta al "Giornale Nuovo" laddove si giudica la "dissolvenza usata dall'autore del libro "Quaranta anni di storia montanara" nell'affrontare temi poco graditi al tam-tam resistenziale ancora oggi di moda:

 "pretendere che un membro dell'Istituto Storico della Resistenza di Modena dica "apertis verbis" la verità sui morti ammazzati da ambo le parti nel 43-45 e oltre, sarebbe come pretendere che Paolo Spriano ricostruisse la storia del Pci senza scantonare sugli episodi nocivi al buon nome dell'Istituto che lo finanzia"(15)

 Il secondo aspetto del problema è nell'impossibilità, da parte comunista o antifascista in genere, ma anche da parte della stessa componente fascista, di avere delle chiare testimonianze su tutto quello che è stato il fenomeno partigiano sia in montagna che in pianura. Nessuno o pochissimi sono disposti a fare dichiarazioni che siano contrarie al cliché creato nelle nostre zone dal PCI; nessuno è disposto a sollevare quel pesante velo di omertà creato con le minacce e la paura, che ancora incombe, malgrado siano passati tanti anni, sulla maggioranza dei fatti e degli episodi della storia partigiana in Modena e Provincia.

Come è possibile in queste condizioni, poter parlare di obbiettività storica e non di manipolazione della stessa del periodo dei seicento giorni della RSI nel modenese?

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 NOTE

 1   cfr. tutta la bibliografia di parte antifascista; a Modena opera da molti anni a questa parte, e con buona dovizia di mezzi e finanziamenti, un Istituto Storico della Resistenza che ha dato alle stampe numerosissime pubblicazioni ed ha organizzato un altrettanto numerosa serie di convegni e conferenze sempre a senso unico.

2   cfr. G. Pisanò: " Storia della guerra civile in Italia".

3   cfr. lettera pubblicata sul "Giornale Nuovo" e relativa risposta del Direttore Indro Montanelli del 3 Maggio 1981

4   cfr. svariate pubblicazioni: nelle nostre zone i capi della guerriglia erano quasi esclusivamente uomini del PCI.

5   cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino" pag. 83.

6   cfr. "Giornale Nuovo" del 18 Novembre 1980.

7   ibidem

8   cfr. "Il resto del carlino".

9   La quasi totalità dei dibattiti che sono stati fatti e in convegni locali ma anche nazionali, in sale o alle televisioni, anche in questi ultimi periodi di maggiore tolleranza, sono quasi esclusivamente tenuti da esponenti antifascisti o da ex combattenti della resistenza e molto raramente, se non in convegni esclusivi, vengono ascoltate voci e testimonianze di chi ha partecipato o combattuto nei ranghi della RSI.

10  E' da notare che le opere maggiormente obbiettive su quel periodo sono quasi tutte di autori stranieri.

11  Ad esempio: "Quando eravamo i ribelli", oppure: "L'an n'era menga giosta" e anche "La storia della resistenza a Modena" ecc. ecc.

12  Anche le microstorie locali dovrebbero avere una visione più obbiettiva e si dovrebbe andare alla ricerca anche delle eventuali fonti orali dell'altra parte ; sempre laddove è possibile, poiché è ancora molto forte la paura da parte di chi potrebbe parlare in modo difforme dalla retorica di regime.

13  cfr. A Besançon in: "Storia e psicoanalisi".

14  cfr. Lettera dello storico dell'Istituto Storico della Resistenza di Modena, P. Alberghi, pubblicata nella cronaca di Modena del "Giornale Nuovo" del 10 Marzo 1981.

15  Paolo Spriano, recentemente scomparso, era uno storico legato al Partito Comunista Italiano.

 

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RSI E CLASSE OPERAIA

  

Nell'ambito della ricerca storiografica sul periodo dei 600 giorni della Repubblica Sociale Italiana in provincia di Modena è necessario dedicare un po’ di spazio, e di conseguenza tentare un’analisi, del rapporto intercorso tra la nuova concezione del fascismo repubblicano, scaturita, o meglio tornata alle origini dopo il tradimento monarchico e badogliano, e la classe operaia e, in contrapposizione, vedere come si sono effettivamente svolte le "lotte operaie".

Non è facile interpretare al meglio, e per di più in modo succinto, quel groviglio d’innovazioni e situazioni ambientali, particolarmente quando le tensioni ideologiche erano portate all’esasperazione in un tutt'uno con la guerra all'interno dei nostri confini che andavano configurandosi sempre più crudele e distruttiva, lasciando poco spazio alle tensioni sociali ed alle conquiste che si prefiggevano la costituzione del Partito Fascista Repubblicano depuratosi da tutte le scorie del ventennio.

A tutt'oggi, nell'ambito della ricerca storiografica di quel periodo, abbiamo notato una limitatezza d’opere relative a quest’argomento e nello stesso tempo sono estremamente carenti i dati che si possono raccogliere da ambedue le fazioni, circa le tensioni sociali e le proposte di realizzazione di miglioramenti socio-economici voluti ma non realizzati dal nuovo governo fascista.

Da un versante s’incensano i grandi rinnovamenti portati sul piano sociale dalle leggi emanate dalla Repubblica mussoliniana a partire dai 18 punti di Verona, e vedremo in quale misura, mentre nell'altro campo le vicende della classe operaia sono mescolate e non sufficientemente sviluppate in quella che sino ad oggi è stata una ricerca finalizzata particolarmente alle vicissitudini politiche e militari della lotta partigiana.

E' evidente che non può essere possibile, anche per gli storici legati al più vieto conformismo antifascista, ritenere che gli operai, in quel periodo, si siano totalmente schierati con la resistenza.

Da parte fascista si dà per scontata la partecipazione alla "resistenza" di una combattiva minoranza che ha creato, senza alcun dubbio, difficoltà all'apparato industriale, ma nello stesso tempo si può affermare che, almeno per un lungo periodo dei 600 giorni, buona parte della classe operaia, in particolare nelle industrie modenesi, se non la maggioranza della stessa, era favorevole e compartecipe alle nuove tematiche operaistiche della socializzazione.

Avremo modo di costatare quanto queste affermazioni, siano anche avvalorate da quella piccola parte della storiografia resistenziale che ha dedicato qualche studio, sebbene marginalmente, al problema proposto.

Brevi premesse vanno fatte prima di entrare nell’analisi di quel periodo di storia modenese ed italiana, e prendere in esame quali sono state le tendenze dello sviluppo industriale, prima, e poi durante il periodo fascista, sino al 25 Luglio 1943, nella nostra Provincia.

Agli albori del Fascismo le produzioni prevalenti, in Provincia di Modena, erano quelle foraggiere e dell'uva; rappresentavano il 65% del reddito agricolo provinciale con una produzione di foraggi per un importo globale di 143 milioni di lire annue, di 113 per l'uva, mentre, a distanza, seguiva il frumento con soli 53 milioni.(1)

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Vi era pertanto una ricchissima presenza, sul nostro territorio, di capi di bestiame, tanto da essere, già a quei tempi Modena, uno dei maggiori centri d'Europa, con numerosissimi capi di, bovini, cavalli e suini; mentre in montagna, ovini e caprini davano alla nostra Provincia uno dei primi posti nelle graduatorie nazionali. Notevoli erano anche le produzioni di granoturco e fagioli, mentre era relativamente scarsa la produzione delle barbabietole da zucchero.

La popolazione della Provincia raggiungeva le 395.513 unità(2) e tra queste, la popolazione attiva si contava su 199.572 persone, delle quali ben 128.985 erano dedite all'agricoltura, con una percentuale del 65%, mentre il 20% era dedito all'attività industriale e il 15% ad altre attività.

La proprietà agricola era distribuita in buona parte tra i grandi e medi proprietari terrieri, dei quali faceva parte la Chiesa che, con ben 210 parrocchie sparse sul territorio Provinciale e che mediamente possedevano uno o due poderi condotti a mezzadria, aveva una gran fetta della proprietà agricola nella nostra Provincia.(3)

La vita nelle campagne era di conseguenza poverissima; braccianti, mezzadri, fittavoli, salariati fissi ed avventizi tra i quali i bifolchi, i cavallanti, gli acquaioli ecc. erano malpagati e sfruttati dalla classe dominante, che, anche per merito dell'influenza dei parroci su questi inculturati, riusciva a mantenere i lavoratori delle campagne, anche attraverso i numerosi pregiudizi d’ordine religioso, quali superstizioni e carenza d’educazione, in uno stato d’arretratezza endemica.(4)

Provincia dunque particolarmente agricola quella modenese agli albori del fascismo, con scarsi insediamenti industriali particolarmente localizzati nel capoluogo e nei centri maggiori; in realtà l'attività industriale esistente in quegli anni, era sparsa in una miriade di piccole officine e laboratori a prevalenza artigianale. In città spiccavano: la Fabbrica Italiana serrature Corni, la Manifattura Tabacchi, le officine Rizzi e Benassi e in Provincia, la SIPE di Spilamberto mentre nel carpigiano era fiorente l'attività del truciolo.

La crisi economica, nella quale si venne a trovare la nostra Provincia in quegli anni, acuì maggiormente le tensioni sociali e la lotta politica assunse toni, in certi momenti, drammatici.(5)

In breve tempo il movimento fascista seppe coagulare attorno a sé l’attenzione di grossa parte della classe operaia e della borghesia, entrambe insoddisfatte della politica del Partito Socialista e del Partito Popolare, tanto da ottenere un buon successo alle elezioni del 1921, sino a quello clamoroso del 1924.(6)

Il Fascismo trova di conseguenza nella Provincia modenese una situazione quantomeno delicata; disoccupazione, immigrazioni dalla montagna alla pianura, aumento della popolazione, piccole e medie industrie in crisi con il ritorno della mano d'opera alle campagne già sature di braccia, l'emigrazione delle donne modenesi nelle risaie del novarese e del vercellese per lavori stagionali,(7) diminuzione dei salari; si andava dunque incontro, e a grandi passi, alla crisi che sfociò alla fine degli anni venti e che sconvolse l'economia del mondo occidentale ma che in Italia venne in parte controllata e ridimensionata in breve volgere di tempo.

Gli anni trenta furono quelli dell'assestamento sociale, politico ed economico; furono fatti enormi progressi in tutte le direzioni. Aumentò la produzione agricola, si aprirono nuove industrie e la disoccupazione calò sensibilmente; si curò in modo particolare l'edilizia popolare e le strutture sociali ebbero un notevole impulso, quali, ad esempio, l'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia; moltissime scuole nuove, dalle elementari alle superiori, con un sensibile aumento della popolazione scolastica, iniziando così ad eliminare la piaga dell'analfabetismo ancora assai consistente nelle nostre zone; si avviò il concetto di turismo popolare, anche attraverso il potenziamento della rete ferroviaria e delle strutture alberghiere, sia alpine sia marine; molto fu fatto per le organizzazioni aziendali e per la costruzione d’impianti sportivi, data l'enorme arretratezza in questo settore e per quei tempi, rispetto a molte altre nazioni europee, si ebbe, negli anni del consenso, un vero progresso sociale ed economico nelle classi meno abbienti, riconosciuto ormai anche dai maggiori storici siano essi pure dichiaratamente antifascisti.(8)

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All’inizio della seconda guerra mondiale la situazione economica e sociale in Provincia di Modena la possiamo così brevemente riassumere: il settore più rilevante per l'occupazione e per il reddito era ancora quello dell'industria agricola ed alimentare, oltre ad un forte impiego nell'attività salumiera e molitoria e numerosi erano gli stabilimenti dell'industria vinicola e dell'alcol, delle acque gassate, dell'industria dolciaria e d’altre minori.(9)

Notevole in quegli anni era stato lo sviluppo dell'industria meccanica e metallurgica, sia legata al mondo dell'agricoltura sia ad altri settori come acciaierie e fonderie, industrie per carrozzerie d’autobus ed automobili, officine specializzate per la costruzione dei motori diesel, bilance, impianti di riscaldamento ecc.; a Sassuolo si stava realizzando l'inizio dell'era della piastrella e della ceramica, mentre nella bassa, a Mirandola, era stato creato un grosso polo per la lavorazione della barbabietola da zucchero.(10)

L'impulso industriale dell'economia modenese in questi anni è stato senz'altro rilevante e in modo particolare :

 "si definiscono alcune linee di tendenza molto importanti, e cioè l'affermazione all'interno di una economia basata prevalentemente sull'agricoltura, di un primo consistente nucleo industriale che subirà un ulteriore accelerazione nel periodo bellico registrando, tra l'altro, un notevole aumento del numero degli addetti."(11)

 Gli anni della guerra, ovviamente in rapporto anche alla produzione bellica, intensificarono l'aumento della mano d'opera nell'industria e, nel modenese, nell'anno 1941 vi erano impiegati più di trentamila lavoratori che raggiunsero i quarantamila nel 1944.

Fonti antifasciste, citando anche testimonianze orali, parlano di scioperi ed agitazioni operaie negli anni di guerra ed in particolare di quello che sarebbe avvenuto nel marzo del 1943, ma:

 "dopo un attento esame di queste ed altre testimonianze, dei documenti coevi di parte fascista ed antifascista, dopo aver inquadrato complessivamente le vicende e valutato i tempi di maturazione della coscienza di classe dei lavoratori modenesi, riteniamo confermato il nostro convincimento che a Modena nel Marzo del 1943 non si sia scioperato, anche se è sempre possibile che in qualche azienda in modo spontaneo, vi sia stata qualche fermata."(12)

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Agitazioni, invece, ci furono dopo la caduta del fascismo, durante i 45 giorni badogliani, anche se non di grossa entità e vanno inquadrati in quel breve periodo pieno di grosse incognite, poiché non era ben chiara, anche per la popolazione, quale sarebbe stata, a breve termine, la posizione dell'Italia nei confronti degli alleati. Di conseguenza, nelle fabbriche la situazione era, complessivamente, abbastanza tranquilla, non si notavano i prodromi di particolari lotte antifasciste e non vi era alcun segno di quei "presupposti resistenziali" di cui è infarcita la storiografia partigiana; e gli stessi capi del sindacalismo comunista stentavano:

 "a mobilitare i lavoratori soprattutto in modo coordinato."(13)

 Ci avviciniamo così al periodo della RSI, la quale, con l'impostazione della socializzazione delle imprese, ha dato un esempio, valido ancora oggi, di com’è possibile il superamento dell'antitesi marxista, classe operaia-capitalismo, in una interpretazione che sceglie la collaborazione tra le classi e di conseguenza quelle motivazioni, non solo materiali, ma anche morali, etiche e spirituali che fanno parte inscindibile dell'uomo.

Attualmente si stanno riscoprendo questi valori seppur ipocritamente mascherati, sia all'est, dove il crollo del comunismo li ha prepotentemente portati alla ribalta, sia all'ovest dove la concezione del puro capitalismo, grettamente materiale e creatore di scompensi incredibili, pone all'uomo di oggi la rivisitazione di quei concetti d’economia corporativa e di socializzazione portati avanti dalla lungimiranza politica di un Mussolini, che condensiamo in una sua dichiarazione del periodo repubblicano:

 "L'unico socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo punto di confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi privati rispetto all'interesse collettivo."(14)

 Nelle varie ricerche effettuate in tutti questi anni sul fascismo, sia del ventennio sia della RSI, si è, grosso modo, sempre sostenuta la tesi che quel movimento rivoluzionario conservò in sé, e se ne fece garante, le strutture capitaliste in genere.

La propaganda antifascista tutta, ma in particolare quella comunista, ha sempre sostenuto questa tesi falsa e demagogica, scagliandosi con violenza contro le avanzatissime teorie sociali postulate in modo particolare nei 18 punti di Verona, poiché, evidentemente queste portavano ad un vero e proprio scavalcamento a sinistra.

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La Socializzazione, voluta dal nuovo Fascismo Repubblicano, fu approvata dal Consiglio dei Ministri della RSI il 12 Febbraio 1944 e cominciò ad entrare nella sua attuazione in varie parti d'Italia, ma ovviamente, tra moltissime difficoltà comprensibili per la delicata situazione interna italiana e per le vicende belliche, ma anche per l'ostruzionismo da parte dei tedeschi che non vedevano di buon occhio, in quel particolare momento, rivoluzionamenti così profondi della società italiana.

Con queste riforme di grandissima importanza sociale, viste anche alla luce delle attuali lotte sindacali, pur mantenendo integro il principio della proprietà privata, anche andando contro a molte tendenze collettivistiche della stessa sinistra fascista, si dava sostanzialmente una nuova regolamentazione alla struttura delle aziende, sia private sia statali.

Nelle amministrazioni delle aziende, attraverso i "consigli di gestione", erano inseriti i rappresentanti degli operai e degli impiegati con poteri ben definiti ed importanti, quali la ripartizione degli utili e la possibilità di partecipare, attraverso le assemblee, alla nomina del capo dell'azienda. Mussolini, libero dalle imposizioni monarchiche, clericali e borghesi che lo avevano imbrigliato per venti anni, porta avanti quelle rivendicazioni sociali che erano parte integrante dei suoi programmi degli inizi.

Quest’aspetto del nuovo Fascismo Repubblicano non può passare solamente come un desiderio di rivincita o come una espressione puramente demagogica del momento. Negli anni precedenti, cioè in quelli del "ventennio", certe forze economiche hanno, in parte, condizionato una progressione più rapida delle motivazioni di fondo del fascismo, e di questo è bene prenderne atto; il capitalismo ha cercato con tutte le collusioni e con tutte le formule possibili, anche le più subdole, di piegare attraverso un calcolo che si doveva poi dimostrare errato, il fascismo; in parte vi è riuscito, ma non completamente e se anch'esso ha voluto vincere la battaglia con le forze vitali della nazione si è dovuto accodare ed asservire al capitalismo internazionale in combutta con il marxismo comunista. E nello stesso tempo è opportuno sottolineare che il movimento rivoluzionario fascista degli anni venti è andato al potere, contrariamente a quello che ha fatto l'altro grosso movimento rivoluzionario del ventesimo secolo , il comunismo, senza le brutalità e gli eccidi che hanno caratterizzato quest'ultimo.

E' anche vero che, durante il periodo della RSI, la classe industriale e borghese conservatrice, che in parte o forzatamente aveva dato i suoi appoggi durante il ventennio, abbandonò completamente il fascismo e conseguentemente le ipoteche scomparvero: Mussolini poté così reimpostare la sua rivoluzione non completata agli albori, ma purtroppo era troppo tardi.

In effetti la RSI, e su questo punto molti storici anche antifascisti concordano, non fu solo l'ultima trincea dei "fanatici del manganello", ed al suo interno non ebbero spazio esclusivamente i cosiddetti "mercenari dell'invasore tedesco".(15)

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 La RSI fu una sincera aspirazione al rinnovamento sociale, fu slancio verso le masse popolari, fu istanza anticapitalismo che cercava di darsi forma, seppure in un periodo difficilissimo; attrasse e galvanizzò uomini dalle esperienze e dalle provenienze più disparate, quali, ad esempio, l'ex segretario del Partito Comunista, Nicola Bombici, morto con Mussolini e con il gruppo di gerarchi fascisti fucilati dai partigiani comunisti; il socialista Carlo Silvestri, accusatore di Mussolini ai tempi del delitto Mattatoi e uno degli uomini più vicini al Capo del fascismo durante il periodo di Salò con il quale ebbe numerosissimi colloqui, condensati nel dopoguerra in un volume di gran successo: "Mussolini, Grazianti e l'antifascismo"; l'ex sindacalista rivoluzionario Nicola Vecchi, del quale riportiamo stralci di una sua lettera, scritta da Mirandola, dove risiedeva, al Ministro della RSI Piero Parigi, lettera emblematica di chi aveva conosciuto per diverso tempo e nella realtà, il "paradiso dei lavoratori" della Russia sovietica e che anche oggi risulta di grand’attualità:

 "All'Ecc. Piero Parigi - Milano -   Mirandola 17.4.44

Solamente ora ho potuto rendermi libero dagli impegni che avevo assunto con uno stabilimento meccanico di Roma, di cui ero da cinque anni direttore. E solo ora mi è stato possibile allontanarmi da Roma, la cui ammorbante atmosfera di viltà non potevo oltre sopportare.

Ritengo di avere qualche cosa da dire ai lavoratori italiani, ubriacatisi nella messianica attesa di un comunismo staliniano, che sotto l'orpello di un barbaro autocrate nasconde la più feroce repressione di un super capitalismo di stato messo al servizio di un nazionalismo slavo, elevato all'ennesima potenza, dalla bieca anima di Giuda, e inverniciato per l'occasione di falsa democrazia operaia.

Subito dopo il 25 Luglio scrissi, non ai giornali per rimettere a lustro il mio passato di combattente antifascista, ma ad un vecchio sindacalista milanese, per dirgli che era d'uopo unirci per impedire la rivalorizzazione di uomini come Buozzi, fuggiti vigliaccamente all'estero con le ben fornite casse delle federazioni riformiste e di comunisti calati in Italia, d'ordine di Stalin per ordire la consegna dei lavoratori italiani, mani e piedi legati, al Budda russo. I successivi avvenimenti mi hanno maggiormente convinto della necessità di agire in questo senso.

Amici miei, vecchi organizzatori dell'Unione Sindacale Italiana, di cui fui Segretario Generale, si sono dichiarati pronti a seguirmi.

Ho la presunzione di ritenere che gli aderenti dell'Unione Sindacale Italiana, di cui fece parte Corridoni ed i lavoratori aderenti al movimento socialista, non abbiano dimenticato la lotta da mè combattuta contro il fascismo negli anni 1919\1923; il mio passato di sindacalista rivoluzionario; l'opera da me svolta quale organizzatore dei sindacati fascisti milanesi dal 1926 al 1928; l'assistenza da me prestata sempre a chi fra loro a me si volse, dopo - per dedurne che l'odierno mio atteggiamento vuol significare che solo difendendo l'Italia e la Repubblica Sociale, si difendono, oggi, gli interessi e le aspirazioni dei lavoratori.

Conosco uomini e cose della Russia, ove fui negli anni 1921 e 1922 per partecipare ai Congressi dell'Internazionale sindacale di cui ero uno dei Dirigenti - nè mi è nuova l'attuale turpe commedia che la Russia gioca al Governo Badoglio e l'arlecchinesca ibrida combutta dei partiti dell'Italia cosidetta liberata; perchè uguale inganno fu contro di me ordito, allorchè, dopo la Marcia su Roma, il riconoscimento dell'Italia Mussoliniana, costituiva tale vantaggio da non fare esitare gli uomini del Cremlino ad abbandonare e tradire i rivoluzionari italiani e ad irretirne l'azione.

Di ciò parlerò meglio e più ampiamente a suo tempo, per far comprendere ai lavoratori italiani che la Russia d'oggi non è che la copia riveduta e scorretta della precedente monarchia, che come questa non persegue altro scopo che non sia l'attuazione della conquista dell'Europa, per instaurarvi l'egemonia dello slavismo semibarbaro, semiasiatico, ed antieuropeo.

Le classi abbienti attendono l'Inghilterra perchè paventano le attuazioni rivoluzionarie della Repubblica Sociale Italiana. e non hanno torto. Le classi non abbienti invece, in maggioranza anticomunista, pur diffidando del comunismo russo, attendono la Russia per la ventennale loro avversione al fascismo, sperando in realizzazioni rivoluzionarie che dovrebbero essere loro apportate dalle baionette dello straniero: e hanno torto.

Sono queste ultime che bisogna conquistare: esse solo potranno dare alla Patria la forza sufficiente a riscattarsi dall'attuale abbiezione. Conquista ardua, ma non impossibile. E' duopo però dare ai lavoratori italiani la sensazione che la rivoluzione è in marcia e che nulla e nessuno potrà arrestarla. Chiamarli a partecipare alla lotta per le conquiste rivoluzionarie, che senza il loro apporto non potrebbero essere conservate ed alla direzione dei Sindacati e delle istituzioni di previdenza.

Sui muri di Roma, la città più antifascista d'Italia, non vi è una scritta che dica abbasso Mussolini.....(omissis).....Eccellenza dite a Mussolini, che io ed i miei amici ci mettiamo a Sua disposizione per vincere o morire - bruciando i ponti alle nostre spalle per non mai indietreggiare - che svolgendo, con intensa propaganda i concetti suesposti, riteniamo possibile conseguire l'unità dei lavoratori e ricondurli sulla via dell'onore, alla lotta per la difesa della Patria repubblicana. - F.to (Nicola Vecchi) - Mirandola"(16)

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 A conferma della validità delle spinte sociali decisamente innovative della RSI, e proprio in funzione di queste, oltre agli uomini del fascismo meno legati agli schemi del ventennio e a moltissimi giovani entusiasti, aderirono alla socializzazione numerosi ex dirigenti sindacali di estrazione antifascista quali, ad esempio, nel modenese: l'ex segretario della Camera del Lavoro, Vittorio Messerotti, Anselmo Forghieri e Carlo Verratti, entrambi questi ultimi ex dirigenti della Camera del lavoro, oltre all'ex sindacalista anarchico, Vincenzo Chiossi.(17)

La classe operaia era dunque ben poco favorevole alla lotta armata dei "partigiani", anche se, nella storiografia antifascista si cercano dei sottili distinguo quando si affronta questo tema:

 "Si trattava di una classe operaia politicizzata, ma ristretta in piccole e medie aziende dove vigeva naturalmente un rapporto paternalistico che, nel periodo di formazione della Rsi, era diventato ancor più pericoloso a causa della nascita di quello strano raggruppamento sindacale facente capo a "Giustizia Sociale" che interveniva demagogicamente anche in contrasto con la linea locale della federazione repubblichina, e agitava rivendicazioni operaie anche sotto la spinta di alcuni ex sindacalisti anarchici, come Chiossi, che avevano abboccato all'amo della socializzazione. L'intervento del Pci era stato quindi su un terreno particolarmente difficile e la richiesta di passare immediatamente sul terreno della lotta armata, nonostante la preparazione e la presenza costante degli anni precedenti, era troppo alta per ottenere risposta adeguata ed immediata, anche perchè il "sindacato" fascista non peritava di ricorrere agli specchietti o ai ricatti sul terreno economico per tentare di ottenere, se non una egemonia o un consenso, perlomeno la neutralità e la pace sociale."(18)

 Le lotte sindacali furono, di conseguenza limitate a poche fabbriche(19), e nonostante la ristrettezza di quei tempi duri, della guerra, della presenza tedesca sul nostro territorio che ostacolava la messa in atto delle avanzatissime teorie sociali della RSI, furono moltissime le industrie ad aumentare i propri organici tanto da raggiungere la cifra di quarantamila addetti nel settore.(20)

E tutto questo nonostante i micidiali bombardamenti aerei, come quello del 14 Febbraio 1944 che colpì duramente le Acciaierie, la Corni, la Fiat-Oci, la Magneti Marelli, e del Maggio dello stesso anno quando altre fabbriche furono danneggiate, come la Giusti e la Rizzi, oltre alle officine Maserati, la Ferrari, le Fonderie Riunite, la Fiat Grandi Motori e le officine Valdevit.

Gli studi che hanno affrontato il contributo dato dagli operai alla resistenza, seppure come sempre in una visione manicheista e demagogica, rilevano quanto meno, le difficoltà oggettive nello scorporare in quel "fenomeno"(della resistenza) il vario ruolo esercitato dalle componenti sociali che hanno contribuito alla sua realizzazione(21), in quanto:

 "...vi sono stati degli appiattimenti che hanno ricordato ad esempio le lotte operaie all'interno della politica del CLN, senza cioè analizzare e quasi negando l'autonomia collettiva della classe operaia.(22)

 A prescindere pertanto dalla ristretta minoranza combattiva, che, come abbiamo già accennato ha partecipato alla resistenza nelle fabbriche con azioni di sabotaggio, mettendo, in alcuni casi in difficoltà la produzione e creando non pochi fastidi, ha pure e nello stesso tempo, creato danni e difficoltà agli altri operai, la maggioranza, che doveva subire impotente queste azioni, dato che la partecipazione politica di questi alla resistenza è tutta da riconsiderare:

 " non è sempre possibile ricondurre i tempi della lotta operaia alle scadenze politiche più generali. Lo provano le mancate risposte ad alcune scadenze politiche, come quelle del Marzo 1943 ed in parte del Marzo 1944, i ritardi ad accogliere l'invito a dare inizio alla lotta armata, abbandonando la fabbrica, avanzata nel 1943..ecc".(23)

 La storiografia antifascista racconta di occultamenti di macchinari delle industrie modenesi effettuati da operai con la partecipazione degli stessi industriali per preservarli dalle razzie tedesche, e questi episodi si sono effettivamente verificati in molte fabbriche , ma, bisogna precisarlo, solamente negli ultimissimi giorni quando la guerra stava concludendosi, e non si è mai fatto cenno, invece, all'intensa attività svolta in questo senso da tante forze del sindacalismo repubblicano che operavano attivamente e tra mille difficoltà, affinché quello che restava di materiali ed attrezzature italiane risparmiate dalle tremende ferite dei bombardamenti anglo-americani, non fosse disperso nelle mani fameliche di tedeschi o filo-inglesi che fossero; tra gli uomini che maggiormente s’interpretarono in questa forma di protezione delle nostre industrie, ne vogliamo citare uno per tutti: il noto sindacalista, Nino Saverio Basaglia.(24)

Da questo breve "excursus" sui rapporti tra RSI e classe operaia si evidenzia quanto sarebbe utile e necessario, per la ricostruzione storica di quel periodo, uno studio ben più approfondito, che non è possibile portare avanti nel complesso di questa storia, e che necessiterebbe di approfondimenti e di reperti d'archivio, e non esaminati con le formule unilateralistiche con cui si è proceduto sino ad oggi.

Riteniamo peraltro utile proporre ai lettori e per intero, i 18 Punti di Verona, che sono alla base di tutta la politica sociale intrapresa, ma appena abbozzata, dalla RSI nel breve periodo di quei drammatici 600 giorni.

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       I 18 PUNTI DI VERONA

 Testo integrale dei "18 Punti" del Manifesto del Congresso del Partito Fascista Repubblicano.

 In materia costituzionale e interna.

 1. - Sia convocata la Costituente, potere sovrano di origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l'ultimo re traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il Capo.

 2. - La Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni amministrative, comprendendo i rappresentanti delle provincie invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero.

Comprenda altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati per minorazione; quelle degli italiani all'estero; quelle della Magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione.

 3. - La costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino - soldato, lavoratore e contribuente - il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione.

Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica.

Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine dell'autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per le perquisizioni domiciliari occorrerà un ordine dell'autorità giudiziaria.

Nell’esercizio delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza.

 4. - La negativa esperienza elettorale già fatta dall'Italia e l'esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concili le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei Ministri per parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.

 5. - L'organizzazione a cui compete l'educazione del popolo ai problemi politici è unica.

Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell'idea rivoluzionaria.

La sua tessera non è richiesta per alcun impiego o incarico.

6. - La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato.

 7. - Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

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IN POLITICA ESTERA.

 8. - Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l'unità, l'indipendenza, l'integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla Natura, dal sacrificio di sangue e dalla storia, termini minacciati dal nemico con l'invasione e con le promesse ai Governi rifugiati a Londra. Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra a un area insufficiente a nutrirli.

Tale politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali:

a) eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro continente;

b) abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;

c) valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni, delle risorse naturali dell'Africa, nel rispetto assoluto di quei popoli, in ispecie mussulmani, come l'Egitto, che, sono già civilmente e nazionalmente organizzati.

 IN MATERIA SOCIALE

 9. - Base della Repubblica Sociale e suo oggetto primario è il lavoro, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.

 10. - La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.

 11. - Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria dello Stato.

I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire gestiti dallo Stato a mezzo di enti parastatali.

 12. - In ogni azienda ( industriale, privata, parastatale, statale ) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori.

In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e operai con un rappresentante dello Stato. In altre ancora, in forma di cooperativa parasindacale.

 13. - Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l'iniziativa stessa viene a mancare. L'espropriazione delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia agricola.

Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l'impulso necessario.

 14. - E' pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni.

 15. - Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo l'Istituto esistente e ampliandone al massimo l'azione, provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da affermare il principio generale che l'affitto una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto, costituisce titolo di acquisto.

Come primo compito, l'Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie. 

16. - Il lavoratore è iscritto d'autorità nel sindacato di categoria, senza che ciò impedisca di trasferirsi in altro sindacato quando ne abbia i requisiti. I sindacati convergono in una unica Confederazione che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici. Essa si denomina Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti.

I dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore.

Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime fascista in un ventennio restano integre. La carta del Lavoro ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l'ulteriore cammino.

 17. - In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso l'adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perché il provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci cooperativi, spacci d'azienda estensione dei compiti della "Provvida", requisizioni dei negozi colpevoli di infrazioni e loro gestione parastatale o cooperativa, si ottenga il risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al risanamento del mercato. Quanto al mercato nero, si chiede che gli speculatori - al pari dei traditori e dei disfattisti - rientrino nella competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di morte.

 18. - Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare col popolo.

Da parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi domani: ributtare l'invasione schiavistica delle plutocrazie angloamericane, la quale, per mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita degli Italiani. V'è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere.

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      NOTE

 1    cfr. G. Muzzioli : "L'economia e la società modenese fra le due guerre." pag. 18

2    cfr. Censimento della popolazione italiana del 1921

3    cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 29.

4    cfr. in G. Muzzioli op. di Paolo Riccardi: "Pregiudizi e superstizioni del popolo modenese" - Firenze 1891

5    A Modena in quegli anni operavano parecchie bande di banditi che vessavano le popolazioni con, furti, rapine, taglieggiamenti ecc., si facevano i nomi delle bande di: Adani, Caprari, Cerchiari, Cipolli, dei fratelli Mazzetti e numerosissimi erano i piccoli ladruncoli. Alto anche il numero di omicidi e suicidi, la cronaca nera, in quegli anni, viveva decisamente una stagione intensissima.

Nell'Ottobre del 1920, in occasione delle elezioni amministrative, fortissime erano le tensioni tra socialisti e popolari e vi furono parecchi casi di oratori aggrediti e bastonati; a Mortizzuolo, un giovane cattolico venne accoltellato, così come a Polinago e anche a Lama Mocogno tre popolari vennero feriti. Anche molti propagandisti socialisti vennero bastonati dai cattolici, specie nelle zone di montagna; due socialisti vennero uccisi dai carabinieri ad Ospitale di Fanano; l'anno seguente, il 1921, fù ancora più pesante; a Campogalliano venne ucciso un sindacalista rosso; la sera del 21 Gennaio venne ucciso il fascista, Mario Ruini e ai suoi funerali, tre giorni dopo, si sparò sulla folla e vennero uccisi altri due fascisti: Amilcare Baccolini e Orlando Antonini; a Novi il 16 Marzo venne mortalmente ferito il socialista, Celso Piccinini; a Vignola venne gravemente ferito, da parte dei fascisti bolognesi, il socialista Vermiglio Bonesi che morirà dopo 30 mesi; il 4 Giugno venne aggredito e leggermente ferito il Prefetto Carlo Bodo ad opera di alcuni fascisti; l'8 Agosto, a Stuffione di Ravarino, venne aggredito e pugnalato il fascista Eliseo Zucchi; il 17 venne ucciso a Mortizzuolo, un popolare, il 26 Settembre le guardie regie, a Modena, sparano su di un corteo di fascisti uccidendone otto, ai funerali di questi partecipò lo stesso Mussolini; il 12 Novembre ancora aggressione ad un fascista, venne ucciso a rivoltellate, Gino Tabaroni.

Anche nel 1922 vi furono aggressioni e violenze di ogni tipo; a San Venanzio di Maranello, due giovani cattolici, Adelmo Beneventi e Giovanni Romani, furono uccisi dai fascisti; si può dire che la lunga catena di violenze si esaurì dopo la Marcia su Roma del 28 Ottobre.

6   cfr. i dati di queste elezioni riportati nel capitolo: Il Clero e la rsi.

7   Nel 1925, ben 7.000 donne si recarono in quelle provincie a lavorare come mondariso.

8   cfr. l'opera di Renzo De Felice su Mussolini.

9   cfr. G. Muzzioli, op. cit. pag. 254

10  ibidem

11   cfr. ISR, nuova serie n.5, anno 1985, in:Ennio Resca e Claudio Silingardi: "Lotte operaie e riorganizzazione sindacale a Modena (1943-45 )" pag. 63-64.

12  ibidem pag. 77.

13  ibidem pag. 81.

14  dichiarazione di B. Mussolini del 20 Marzo 1945.

15  cfr. : "Storia Contemporanea" ed. Il Mulino n. 2/1977, pag. 259.

16  ibidem

17  cfr. E Resca ecc. op. cit. pag. 82.

18  cfr. L. Casali: "Storia della resistenza a Modena", pag. 319-320.

19  cfr. E. Resca ecc. op. cit.

20  ibidem pag. 74

21  ibidem pag. 89.

22  ibidem

23  ibidem

24  Dott. Nino Saverio Basaglia, giornalista, sindacalista; scrisse, tra l'altro, il Diario di guerra delle Camicie Nere modenesi che combatterono sul fronte greco-albanese, titolato: "Gradinate di fango e mandorli in fiore" - Edito dalla Soc. Tip. Modenese, nel 1944. Si raccontano, le epiche gesta delle camicie nere che caddero sul Monte Kosica. Và sottolineato che, probabilmente per una dimenticanza o per semplice ignoranza, il viale modenese che fiancheggia l'ex ippodromo e lo Stadio Braglia, non venne mai epurato dalla toponomastica cittadina dai reggitori del potere comunisti, come invece successe a tutte le altre strade dedicate ai nomi più famosi del fascismo.

     

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Ultima modifica: data Maggio 2003